Chi dice che le emozioni stanno all’età come l’ossigeno alla quota sicché, superati gli “anta”, esse sono scarse come l’ossigeno ad 8.000 metri, vi prende per il culo o, se è serio, deve farsi ricoverare.
Sarà stata la passione, sarà stata la lunga attesa, sarà stata, per l’appunto, l’età, fatto sta che la temperatura all’interno del mio abitacolo negli ultimi cinque giri, i più lunghi della vita, è schizzata in alto, manco fossi Schumacher a Suzuka 2000.
“Vadi lei. No, prego, vadi lei”. Dialogo di fantozziana memoria applicabile alle qualifiche dove sembrava che l’obiettivo fosse fare un pò peggio di tutti gli altri.
Io mi sono qualificato con il tempo fatto con la mia Honda Civic per raggiungere i box quando sono arrivato al circuito.
La sovraimpressione in alto a sinistra mi diceva che ero, più o meno, trentaseiesimo salvo poi scoprire, nella schermata del direttore di gara, che prima di me c’era un tappeto di bandierine bianche e nere, così tante che nei magazzini dell’Albert Park erano andate esaurite ed avevano dovuto fare ricorso a quelle dello Juventus Stadium.
Com’è, come non è, parto terzo e subito mi conforta sapere che i miei vicini devono aver assistito alla live della Sport (ma anche della Master) in cui le cose erano andate all’incirca così.
Andre in pre-gara: “Ragazzi, calma e ricordate che la gara non si vince in curva 1”.
Coro: “Certo, certo, tranquillo”.
Pronti, via e, tra curva 1 e 2, botte da orbi come se non ci fosse un domani.
In Prime saremo anche più lenti ma, almeno in quest’occasione, siamo stati più misurati e tutto è filato liscio con sentiti ringraziamenti da parte del mio volante che quasi stritolavo in attesa della botta.
Il tempo di sopravanzare Talz e mettermi secondo, in scia ad Antoniosperloga (ma un nick più breve no? Se lo dovessi stampare si esaurirebbe la cartuccia del toner), e mi accorgo che le distanze si dilatano progressivamente. Non facciamo troppo chiasso che va bene così. Poi, più avanti, si vedrà.
Nel frattempo riemerge dalla sua piscina, in cui le tachipirine avevano preso il posto dell’acqua, Zampy, il mio compagno in Force India e me lo ritrovo terzo.
L’affiatamento promette bene.
“Ale” gli avevo detto prima della gara “in corsa comunicazioni all’essenziale perché ho difficoltà a tenere la concentrazione tanto che ho pure tagliato le corde vocali all’ingegnere al muretto”.
“Ok Max” mi ha risposto e così abbiamo parlato solo per stabilire chi si fermava al giro 9 e chi al 10 e sono certo che, in questo, non c’entra che l’influenza gli avesse prosciugato l’ugola.
I più giovani non lo hanno conosciuto ma, negli anni 80, uno dei primi videogiochi era Pac-Man.
La trama era elementare. Mentre guidavi, in tutta tranquillità, il tuo improbabile pallino giallo a mangiare tutti i puntini disseminati nel labirinto, facevano irruzione alcuni fantasmi colorati che tendevano agguati lungo la strada.
Il premio Pac-Man di Melbourne va, per acclamazione, ad Alexpilotino.
Due volte mi sono trovato a doppiarlo. La prima mentre ero secondo ed è stata una fitta intercostale. La seconda mentre ero in testa, a qualche giro dalla fine, e si è trattato di un attacco cardiaco a tutti gli effetti.
Identico il mio affollamento di pensieri: “Ora mi vede. Ora si sposta. Non si sposta. Ah, ecco, si toglie dalla traiettoria. Oh ca…(beeeeep). Torna in traiettoria. Posso rimanere qui dietro? No. Ok, mi faccio il segno della croce. All’interno, dai, dai, uuuuuuuu.” L’ululato finale rasenta le sonorità dell’orgasmo di un reduce della guerra del Golfo che conquista Kate Moss.
Ma torniamo alla gara.
Dopo il pit stop sono secondo a due/quattro secondi da Antoniosperloga (fine della seconda cartuccia di toner) e sto riflettendo se lasciare il mondo come si trova o forzare l’andatura quando, all’improvviso, lo ritrovo intraversato dopo curva 12.
Immagino un tipico errore di accelerazione sul cordolo in uscita dalla S veloce ma, sempre nel dopo-gara, apprendo che anche lui si è imbattuto nel premio Pac-Man.
Ripenso al mio affollamento di pensieri. Nel suo caso deve essersi trattato di coitus interruptus.
Sono primo, o forse in testa, o forse al comando. Non mi è chiara la differenza.
Sono primo con un’era geologica di vantaggio sul secondo.
Faccio fatica a calcolare quante ore siano durati quegli ultimi cinque giri.
So solo che mi aspettavo che, da un momento all’altro, saltasse fuori mia moglie per comunicarmi che la prima colazione era pronta.
E’ andata e, con il mio compagno sul podio, la Force India prende l’aereo per la Cina con un carico di punti tale che il comandante deve ricalcolare lo ZFW (zero fuel weight) del Boeing 747.
Un pensiero finale a Hiroshi, il primo a scrivermi un messaggio di congratulazioni.
La sorte ci ha divisi ma la Pandoro Race è in agguato. Ti aspetto lì.